Fortezza o… resilienza?

La Fortezza (1470, Firenze, Galleria degli Uffizi) è la prima opera documentata di Botticelli. La tavola, destinata al Tribunale della Mercanzia, faceva parte di un ciclo di sette pannelli rappresentanti le Virtù e affidate a Piero del Pollaiolo per l’esecuzione. A causa di un ritardo nelle consegne, però, Botticelli riuscì a ottenere la commessa del settimo dipinto – la Fortezza appunto – grazie all’intervento di Tommaso Soderini, a sua volta vicino alla famiglia Medici.
In questa raffinata tavola si ritrovano tutte le caratteristiche salienti dell’arte del Maestro: la ricca decorazione del trono, l’armatura finemente ornata con gemme preziose derivanti dalla formazione da orafo, l’elegante panneggio. Colpisce l’inventiva mostrata nella composizione dell’armatura, dal disegno fantastico e inusuale. In particolare i diamanti incastonati nell’armatura sono un emblema di forza, mentre le perle dell’acconciatura e dello scollo rimandano alla purezza. La virtù della Fortezza simboleggia il coraggio nelle avversità, la fermezza e la costanza nel cercare il Bene, insomma quella che in termini contemporanei si definirebbe “resilienza”. La figura allegorica di Botticelli mostra però una sottile inquietudine nel volto e nella gestualità. Ha uno sguardo assorto e malinconico, come immerso in una profonda meditazione. La donna non impugna saldamente lo scettro come ci si aspetterebbe da un emblema di forza morale, al contrario sembra giocherellarci in maniera nervosa. Eppure la sua non è insicurezza: tutt’altro. E’ una profonda riflessione, la certezza che la ragione, con i suoi limiti, non basta a spiegare ciò che esula dalla comprensione umana. Inutile, Botticelli riesce a trasformare tutto ciò che dipinge in Poesia.
Angela Patrono

IL COMMENTO DELLA CRITICA
“L’artista, al suo esordio pubblico, pare volersi misurare più che con Piero, con Antonio, il fratello maggiore e più famoso, autore dei santi della Pala del cardinale del Portogallo, avviluppati nelle loro vesti damascate e tempestate di pietre preziose. E così, in questa tenzone di grandi, pare voler stupire l’osservatore con la sua abilità nel rendere i lustri metallici della fantastica armatura, le gemme che adornano la fronte e le vesti della fanciulla, e i leggeri panneggi atteggiati in pieghe accomodate o in gonfi ricaschi”. (Alessandro Cecchi, Botticelli, Milano, Federico Motta Editore, 2008, p.100)

La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli

Inizia oggi il nostro viaggio nei regni danteschi, accompagnato dalle illustrazioni di Sandro Botticelli. Prenderemo in esame le pergamene divise tra la Biblioteca Apostolica Vaticana e il Kupferstichkabinett di Berlino. Di questa serie di illustrazioni ci parla il cosiddetto Anonimo Magliabechiano in un manoscritto del 1540: “Dipinse et storiò un Dante in cartapecora a Lorenzo di Piero Francesco de’ Medici che fu cosa maravigliosa tenuto”. Quindi sappiamo chi era il committente: Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici detto il Popolano, cugino di Lorenzo il Magnifico.
Nel progetto iniziale erano previsti centodue fogli illustrati: uno per ogni canto, più una visione generale dell’Inferno e un’immagine estesa su due pagine. Tuttavia alcune illustrazioni sono andate perdute, e si pensa che i fogli dei canti XXXI e XXXIII non siano stati eseguiti. Oggi abbiamo notizia di novantadue pergamene: ottantacinque fogli sono conservati presso il Kupferstichkabinett di Berlino (Cod. Ham. 201), mentre altri sette si trovano nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Reg. lat. 1846).
Qual è la storia di questi manoscritti?
Parte delle illustrazioni venne individuata nel 1803 a Parigi presso Gian Claudio Molini, rinomato collezionista e tipografo. Era di famiglia fiorentina, ma non abbiamo prove che avesse importato i manoscritti dall’Italia. Acquisiti da Alexander 10° duca di Hamilton, vennero messi all’asta nel 1882 da William, nipote del nobile scozzese, causa bancarotta, e di nuovo acquisiti prima che si tenesse l’asta da Friedrich Lippmann, direttore del Gabinetto Reale di Disegni e Stampe di Berlino. Altri 7, che si trovavano sempre a Parigi, nel 1632 passarono nelle mani di Cristina di Svezia e fu la stessa regina a donarli al Vaticano. Si pensa che quindi Lorenzo di Pierfrancesco, il quale all’epoca intratteneva rapporti con la Francia, abbia voluto farne dono a un dignitario francese, ma che nel corso degli anni la raccolta sia stata smembrata.
Tuttavia il progetto risulta chiaramente incompiuto. Alcuni disegni di canti colorati dimostrano la probabile intenzione iniziale di colorare l’intero progetto illustrativo. Lo schizzo iniziale in punta metallica veniva ripassato con inchiostro marrone; dopo la coloritura parziale si passava uno strato di tempera.
Il testo era scritto sulla parte opposta del foglio da Niccolò Mangona, amanuense, per cui l’opera assumeva un rivoluzionario formato orizzontale. La Commedia si sfogliava dal basso verso l’alto e, in ogni facciata superiore, si poteva ammirare l’illustrazione del testo stampato nella pagina successiva.
Qual era la loro funzione? Sono state avanzate molte ipotesi. Secondo Alessandro Parronchi, i disegni botticelliani dovevano servire come modello per l’interno della tribuna di Santa Maria del Fiore, ma, in base al mio parere, i disegni hanno un legame troppo stretto con il testo scritto perché possano avere qualche forma di autonomia rispetto alla funzione di illustrazione. Secondo Lightbown i disegni sarebbero stati realizzati dall’artista per sé stesso, ma la presenza di un testo e la prova di una committenza lascia scartare questa ipotesi, sebbene le immagini presentino un’impronta fortemente personale e – a mio avviso – autobiografica.

Angela Patrono

Una targa per Sandro Botticelli

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via del Porcellana, Firenze

Situata in pieno centro di Firenze, a due passi da Santa Maria Novella, via del Porcellana si presenta come una strada piuttosto anonima. In pochissimi sanno che, oltre cinquecento anni fa, quel nugolo di case brulicava di vita e d’arte, di idee e di ispirazioni fulminanti. Sì, perché in via del Porcellana si trovava la bottega di un grande del Rinascimento: Alessandro Filipepi, passato alla storia come Sandro Botticelli. Dalle finestre era possibile sentire gli schiamazzi dei garzoni e le risate del maestro, ma anche l’odore acre di tempera, mischiato al profumo penetrante di uno sformato di verdure. Diverse fonti, come Herbert Horne nella sua monumentale monografia del 1908, o in tempi recenti lo studioso Alessandro Cecchi, hanno individuato l’esatta ubicazione della dimora di Botticelli sulla base di varie “portate al catasto”, sorta di censimento e dichiarazione dei redditi dell’epoca. L’abitazione di via Nuova (antico nome di via del Porcellana) ospitava non solo la bottega del maestro, ma anche la sua famiglia, che consisteva in una ventina di bocche da sfamare. Sebbene non fosse esattamente un rifugio zen, casa Filipepi era un ambiente pieno di calore umano per un pittore che amava la sua famiglia e la sua città, Firenze, al punto da tornare in patria di volata non appena eseguiti gli affreschi della Cappella Sistina nella sua breve parentesi romana. Si potrebbe immaginare che a distanza di 507 anni dalla morte Botticelli sia stato omaggiato dalla sua Firenze con un monumento commemorativo o, al limite, una targa. Nulla di tutto questo.

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Autoritratto di Sandro Botticelli (dettaglio dell’Adorazione dei Magi, 1475 circa, Firenze, Uffizi)

Per tale motivo abbiamo deciso di richiedere al Comune di Firenze la posa di una memoria sulla sua abitazione di via del Porcellana. Si tratterebbe di un omaggio doveroso a un grande maestro che ci ha consegnato vere e proprie poesie in punta di pennello. Un tentativo, nel nostro piccolo, di restituire a Sandro tutto ciò che di bello ha donato a Firenze e al mondo intero con i suoi capolavori. La domanda è stata protocollata presso l’Assessorato alla Toponomastica del Comune di Firenze insieme al bozzetto e ad alcune ipotesi per la scritta. Adesso abbiamo bisogno dell’impegno e della partecipazione di tutti gli amanti dell’arte che sentono come noi la necessità di dedicare una targa a Sandro Botticelli. Per accelerare le procedure stiamo raccogliendo firme su un modulo cartaceo, ma potete anche trovare la petizione online e lasciare qui la vostra firma.

Please sign the petition here to dedicate a memorial plaque to Sandro Botticelli in his hometown Florence!

Grazie a tutti! / Thank you!

Angela

Zefiro e Aura: due principi complementari

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Sandro Botticelli, Nascita di Venere (dettaglio di Zefiro e Aura), 1482-1486 – Firenze, Galleria degli Uffizi

Nella Nascita di Venere (1482-1486 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi), Sandro Botticelli raffigura Zefiro e Aura (o, secondo alcuni, la ninfa Clori): due venti primaverili dai corpi avvinghiati e dalle anime intrecciate. Rappresentano l’ipostasi dell’Amore: un soffio fecondatore, il Dono creativo di due principi complementari che si fondono per generare pura Vita, materiale o spirituale che sia.

il mio fumettista preferito

Venti alati come angeli profani, che poco hanno di casto. Eppure conservano una purezza originaria e intoccabile.

Il loro abbraccio dolcemente sensuale. Il gioco di gambe che fluttuano nell’aria quasi a confondersi, a smarrire ogni confine di proprietà. La gamba di Aura appollaiata contro il corpo di Zefiro in un erotismo che non ha nulla di lascivo, ma è abbandono spontaneo e vitale. Aura che cinge la vita di Zefiro con una delicatezza che commuove; Zefiro che sorregge Aura con fare protettivo, stringendola a sé pur senza toccare un solo centimetro di pelle scoperta. È la sua veste quella che afferra, ma il suo tocco si insinua oltre il morbido tessuto fino penetrare in ogni segreto della carne, in ogni sussulto dell’essere.

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René Magritte, Gli Amanti (Les Amants), 1928 – Canberra, National Portrait Gallery

Questo gioco di carezze velate può ricordare Les Amants di Magritte, in cui l’ardente bacio della coppia avviene “mediato” da un lenzuolo bianco che copre integralmente i due volti e impedisce di fatto il contatto fisico e visivo, spalancando di colpo una porta socchiusa sul mistero dell’Eros.

14068217_10153860947132634_2598470847712790969_nZefiro e Aura si trovano sulla fragile soglia dove lo Spirito diventa Materia. Sono due poli opposti e complementari, lo Yin e lo Yang, il Maschile e il Femminile. Il contrasto cromatico indicante le polarità divergenti si evince nella carnagione ambrata di lui che contrasta con la pelle lattea di lei. Anche le loro chiome differiscono per la tinta utilizzata: i capelli di Zefiro sono di un caldo color castagna, quelli di Aura di un biondo ramato. Il soffio di Lui è diretto e investe in pieno, le gote si gonfiano per lo sforzo. Il soffio di Lei è più lieve, un afflato caldo e sottile, una brezza che solletica senza travolgere.

Le gote di Zefiro sono gonfie e i muscoli del viso contratti nello sforzo dell’emissione del fiato, proprio come la mente razionale ha bisogno di elaborare i concetti, di riordinarli, di trattenerli nell’emisfero sinistro prima di esternarli in parole di senso compiuto, in quel Logos che è ragione pura e che stabilisce un assetto gerarchico nel complesso caos che ingarbuglia i pensieri. Il suo soffio è quindi ispirazione dell’intelletto, disposizione della mente razionale. È l’io cosciente che pensa se stesso.

Aura, in quanto simbolo dell’Eterno Femminino, è l’incarnazione della potenza creativa. Ha la bocca dischiusa in quello che sembra l’accenno di un sorriso; l’espressione è aperta e dolce, il sottile getto d’aria fuoriesce soave ma così leggero da essere libero di fluire in ogni direzione, richiamando l’espressione biblica “il Vento soffia dove vuole” (Giovanni 3,8). Lo Spirito Santo, il soffio fecondatore che instilla pura vita nell’Essere, trasformando la materia inerte in organismo pulsante. È un concetto che nella filosofia induista chiameremmo Shakti, il Divino Creativo Femminile, la potenza vitale e generatrice, la generosità del dono, l’accoglienza. L’emisfero destro, il puro stream of consciousness, affrancato da ogni categorizzazione o definizione.

Zefiro e Aura. Così diversi, così ontologicamente distanti eppure talmente vicini da avvinghiarsi in un abbraccio sublime, dalla stretta senza forzature, ma carica di dolcezza. Sono poli opposti, eppure nei loro tratti c’è qualcosa di simile, un’incredibile corrispondenza fisiognomica che sfugge a qualsiasi tentativo di identikit o classificazione somatica. Saranno i loro sguardi, protesi verso una comune direzione; saranno le inaspettate assonanze dei tratti del viso o le onde fluenti dei capelli; sarà forse l’annullamento di un rapporto gerarchico maschile-femminile. Anzi, il volto di Aura sembra predominare su quello di Zefiro, le sue dimensioni appaiono maggiori rispetto a quelle del viso del compagno.

Sandro Botticelli, Illustrazione per la Divina Commedia, Paradiso Canto VI
Sandro Botticelli, Illustrazione per la Divina Commedia, Paradiso Canto VI

Una scelta che, forse, è di natura spirituale e che Botticelli renderà in seguito palese nelle illustrazioni della Divina Commedia, in cui Beatrice è rappresentata di proporzioni maggiori rispetto a Dante. Una Beatrice-teologia che troneggia come un colosso di fronte allo spaurito Dante-anima, mentre quest’ultimo si fa strada attraverso l’atmosfera di luce rarefatta del Paradiso, tremando come un fanciullo mentre viene condotto dalla sua Amata alla contemplazione del Bene Supremo. Una Donna-Madre che guida un Uomo-Bambino verso un Dio-Padre. Una perfetta mediatrice tra cielo e terra che non può non richiamare la figura di Maria, intermediaria per eccellenza. “Donna, se’ tanto grande e tanto vali / che qual vuol grazia e a te non ricorre / sua disïanza vuol volar sanz’ali” (Par. XXXIII, vv. 13-15). È attraverso il riflesso negli occhi di Beatrice che Dante riesce a contemplare il Sole, l’eterno Principio vivificatore di tutte le cose (Par. I, vv. 46-54). La Donna, vista qui come Principio Femminile creativo e intuitivo, è quindi scala d’oro verso l’immortalità, guida privilegiata che dona accesso al mondo Altro.

Sandro Botticelli - The Birth of Venus, 1485 (15)

Tuttavia, ciò non indica una presunta superiorità del principio femminile sul maschile. Entrambi hanno pari valore e dignità, sono necessari e complementari per l’integrazione del Sé. Zefiro sostiene dolcemente Aura, stringendola a sé come per un senso di protezione, mentre l’altro braccio resta libero. Aura cinge la vita di Zefiro con entrambe le braccia, con un gesto di una fiducia totale e disarmante. Il Femminile ha bisogno del Maschile per indirizzare la sua forza creativa nel modo più benefico. Sa che aggrappandosi a Lui, il suo volo sarà più sicuro e costante. Approderà verso la meta seguendo la rotta giusta.

Perciò Zefiro e Aura sono le due manifestazioni dello stesso principio, generati dalla stessa matrice originaria. Come i due serpenti attorcigliati del caduceo mercuriale, l’armonia degli opposti rappresenta il superamento dei conflitti. Il loro è un volo congiunto, una comunione d’intenti, un libero e reciproco scambio d’Amore che permette ai due principi di realizzarsi nella loro completezza attraverso il dono incondizionato di Se stessi.

© Angela Patrono

Manuel Machado, Sandro Botticelli – La Primavera

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Sandro Botticelli – Primavera (1482 ca., Firenze, Uffizi)

Oh il sotto voce balbuziente, oscuro,
della prima lussuria!… Oh la dolcezza
del bacio adolescente, quasi puro!
Oh il non sapere della prima carezza!

Svegliarsi d’amore tra canzoni
e umidità di giardino, pianto senza pena,
divina malattia che colma l’anima,
prima macchia delle zagare!…

Angelo, bambino, donna,… I sensuali
occhi assonnati e annegati
in inaudite linfe incipienti…

E i volti di mandorla, verginali,
come fiori al sole, rossodorati,
nei campi di maggio sorridenti!…

(Traduzione di Andrea Verdino)

¡Oh el sotto voce balbuciente, oscuro,
de la primer lujuria!… ¡Oh la delicia
del beso adolescente, casi puro!…
¡Oh el no saber de la primer caricia!…

¡Despertares de amor entre cantares
y humedad de jardín, llanto sin pena,
divina enfermedad que el alma llena,
primera mancha de los azahares!…

Ángel, niño, mujer… Los sensuales
ojos adormilados y anegados
en inauditas savias incipientes…

¡Y los rostros de almendra, virginales,
como flores al sol, aurirrosados,
en los campos de mayo sonrientes!…

 

Botticelli e Dante: quando l’Arte incontra la Poesia

Ritratto di Dante (1495 ca., Ginevra, collezione privata)
Ritratto di Dante (1495 ca., Ginevra, collezione privata)

Naso adunco, mento prominente, tratti spigolosi: il personaggio raffigurato in questo dipinto ha un profilo inconfondibile. Forse ad alcuni evocherà un certo immaginario scolastico fatto di interrogazioni a tappeto, letture interminabili e parafrasi più o meno rattoppate. Per altri (la maggioranza, si spera) la sua austera severità ha il nome del più grande poeta di tutti i tempi, il “padre” della lingua italiana per eccellenza: Dante Alighieri.

Il dipinto in questione è conservato a Ginevra in una collezione privata. Certo è che Botticelli, nella raffigurazione del Sommo Poeta, si ispira ai modelli tramandati dall’iconografia tre-quattrocentesca, a partire dall’affresco di scuola giottesca della cappella del Bargello.

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A Santa Maria del Fiore si trova invece il famoso Ritratto di Dante che mostra la Divina Commedia (1456), opera di Domenico di Michelino su disegno di Alesso Baldovinetti.

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Per non parlare dalla descrizione dell’aspetto fisico di Dante ad opera di Boccaccio nel suo Trattatello in laude di Dante, da cui Sandro avrà attinto a piene mani:

Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso.

Eppure, rispetto ai suoi predecessori, Sandro regala al “suo” Dante una personalità unica. Contornato da una linea morbida e netta al tempo stesso, il profilo emerge dallo sfondo chiaro e sembra esprimere una sorta di pacata autorevolezza. Il lauro poetico, simbolo di gloria, incornicia il cappuccio rosso scarlatto. La carnagione è olivastra, gli zigomi e i lineamenti sono solcati da un gioco di ombre che li rende ancora più marcati. Il Dante di Botticelli ha l’aspetto di un insegnante giusto ma severo, di quelli pronti a riprenderti alla minima svista ma che poi sanno spingerti a tirare fuori il lato migliore di te. Un Maestro d’arte e di vita.

Il Ritratto di Dante, in questo senso, non è una fredda lezione imparata a memoria, è un caloroso tributo in segno di ammirazione, l’omaggio sentito di un allievo al suo maestro.

Chi può essere stato il committente di quest’opera? Forse non lo sapremo mai. È probabile che il dipinto fosse destinato alla biblioteca privata di qualche intellettuale. A me però piace pensare che questo dipinto rappresenti, passatemi il termine, uno dei primi esempi di fan-art della storia.

Sì, perché Sandro Botticelli aveva una venerazione sconfinata per Dante. Una passione che lo assorbiva interamente al punto da fargli trascurare ogni altra attività. Come racconta il Vasari,

“[…] per essere persona sofistica comentò una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa; dietro il quale consumò di molto tempo: per il che fu ragione d’infiniti disordini alla vita sua”.

Un Botticelli, quindi, ossessionato dalla Commedia dantesca, al punto da farne una ragione di vita. Nel 1481, prima di partire per Roma ad affrescare la Cappella Sistina, l’artista realizzò i disegni dei primi diciannove canti della Divina Commedia per le incisioni di Baccio Baldini. Successivamente si mise al lavoro su un progetto grandioso che, presumibilmente, si protrasse per tutti gli anni ’90 del Quattrocento. Le 92 pergamene con le illustrazioni del poema, commissionate da Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici e conservate tra Roma e Berlino, testimoniano la sua vera e propria devozione per l’opera. Su questo tema c’è moltissimo da dire e ne parleremo in seguito.

Un aneddoto del Vasari, da prendere però con le pinze, mostra ancora la grandissima ammirazione di Sandro per il Sommo Poeta:

Raccontasi ancora che Sandro accusò per burla un amico suo di eresia al Vicario, e che colui comparendo dimandò chi l’aveva accusato e di che; per che essendogli detto che Sandro era stato, il quale diceva che egli teneva l’opinione degli Epicurei e che l’anima morisse col corpo, volle vedere l’acusatore dinanzi al giudice; onde, Sandro comparso, disse: “Egli è vero che io ho questa opinione dell’anima di costui, che è una bestia; oltre ciò non pare a voi che sia eretico, poi che senza avere lettere o apena saper leggere comenta Dante e mentova il suo nome invano ?”.

A confutare la presunta ignoranza dell’artista ci sono le numerose citazioni letterarie intersecate nelle sue opere, dalla Storia di Nastagio degli Onesti del Boccaccio alla Calunnia di Apelle derivata dai dialoghi di Luciano attraverso la traduzione di Leon Battista Alberti o – come più probabilmente ha suggerito Angela Dressen – proprio attraverso il Commento di Cristoforo Landino all’edizione della Commedia stampata a Firenze nel 1481, con incisioni di Baccio Baldini su disegno dello stesso Botticelli. Per non parlare della poesia del Poliziano che gli ispirò capolavori come la Primavera e la Nascita di Venere. In ogni caso, Dante ha in Botticelli uno dei suoi interpreti artistici più creativi e appassionati.

C’è un nesso inestricabile tra Dante Alighieri e Sandro Botticelli. Il primo, portavoce di una coscienza individuale che nella Divina Commedia si fa universale grazie alla Poesia: tramite i suoi versi ricchi di allegorie, simbologie e visioni, riusciamo ad scorgere il senso ultimo del suo (e nostro) viaggio. Il secondo, nel dare vita al pensiero neoplatonico lo traduce in un linguaggio visivo trasfigurato, che non si riduce a livello di una mera stilizzazione delle forme, ma che scava nel nucleo del soggetto fino a riportarne all’esterno l’essenza lirica.

Dante e Botticelli. Questi due giganti dell’Arte intesa in senso lato si sono incontrati più volte. E il loro percorso, quando si è incrociato, ha prodotto capolavori unici.

Benvenuti!

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Grazia, delicatezza, malinconia, linearismo raffinato: sono tutti concetti che attribuiamo istintivamente a Sandro Botticelli, uno dei più grandi maestri della storia dell’Arte. Le sue opere più conosciute bastano a identificarlo come gigante della pittura universale: la Primavera e la Nascita di Venere sono icone evergreen, dive assolute nel Pantheon dei capolavori di tutti i tempi. La loro bellezza sublime è in grado di risvegliare una scintilla di Infinito perfino nello spettatore più assuefatto all’aridità deI quotidiano. Oasi di Poesia pura nel deserto della vita.

Interprete colto di allegorie mitologiche e simbolismi criptici, ma anche narratore di sofferte tensioni religiose, Sandro Botticelli è un artista difficile da inquadrare in uno schema preciso, come a prima vista potrebbe sembrare. Ma se volessimo scavare più a fondo nel nucleo della sua opera, della sua vita, della sua personalità? La sua è stata una rincorsa verso l’assoluto, un continuo tentativo di sollevare il velo che separa il visibile dall’invisibile. La sua passione al limite dell’ossessione per Dante e la Divina Commedia è indice di questo percorso interiore, un viaggio dell’anima alla ricerca di ciò che sfugge alle categorizzazioni e alle convenzioni umane. Con la sua arte, Sandro è riuscito a rendere visibile qualcosa che, secondo la logica terrena, dovrebbe essere invisibile, intangibile, sfuggente. Ma immortale.

I dipinti profani del periodo mediceo e il misticismo visionario della crisi savonaroliana sono le due facce della stessa medaglia: uno slancio inquieto che attraverso la creazione artistica ha cercato (con successo, a mio parere) di dare forma alle idee pure. In una parola, al trascendente. Questo blog nasce con l’intento di far conoscere più a fondo l’opera e la vita di questo grande uomo e artista, senza la pretesa di scrivere un trattato di storia dell’arte (per quello ci sono già gli esperti in materia), ma cercando di arrivare al cuore del suo messaggio, artistico e non solo. Spesso sono i dettagli a fare un capolavoro. Perciò conoscere Sandro Botticelli significa esplorare i tratti della sua personalità umana e artistica che traspaiono inevitabilmente attraverso le sue opere: l’immensa sensibilità, il gusto decorativo, l’amore per il disegno, la passione per gli alti ideali ma anche l’acume e il senso dell’umorismo… e si potrebbe andare avanti all’infinito.

Personalmente, inizio questo blog nel segno della gratitudine…

Benvenuti! 🙂

Angela